lunedì 28 settembre 2020

Sardegna... Le spiagge del sud!

 La classifica delle spiagge... secondo noi!

Il (numero) indica la posizione sulle mappe (a fine pagina),

13° posto (In realtà non è valutabile):


Cala Domestica, Iglesias (2).
La spiaggia è bellissima, con alte scogliere a proteggerla e dune dorate a separarla dal “mondo conosciuto”. La sua fama la precede visto che per trovare posto bisogna arrivare abbastanza presto. Purtroppo eravamo lì in un giorno di forte vento e mare grosso, siamo ripartiti presto.

12° posto:


Spiaggia di Masua. Iglesias (3).
Piccola spiaggia con sabbia fine e anche in alta stagione non ci è parsa troppo frequentata. Il panorama è eccezionale con lo scoglio Pan di Zucchero proprio di fronte. Oltre allo stabilimento balneare è presente anche un un simpatico bar-ristorante che organizza escursioni in gommone. 
Altra chicca del bar sulla spiaggia è il mirto a produzione famigliare: eccezionale, ma decisamente caro!
Il fatto che per decenni, alle spalle della spiaggia, fosse attiva una miniera ha fatto sì che tutt'ora siano segnalati residui di metallo mescolati alla sabbia. Dei cartelli consigliano di lavarsi bene le mani prima di assumere cibi.


11° posto:


Spiaggia di Maladroxa, Sant’Antioco (4). 
Bellissima spiaggia alle porte del piccolo paese da cui prende il nome. Ci è stata utile, su consiglio della padrona di un ristorante, nei giorni di vento perché molto riparata.
Sul lungomare c’è un solo ristorante/bar.
Sabbia fine e mare che degrada lentamente mentre ci si allontana dalla battigia. E’ anche il posto dove abbiamo visto un delfino in mare, ma era solo un gonfiabile portato via dal vento e che, in lontananza, ci salutava rotolando sull'acqua.
Posto tranquillo. Notevole.


10° posto: 

Santa Giusta, Castiadas (11).
La spiaggia di Santa Giusta si trova tra Costa Rei e Villasimius. Vive della fama di queste due spiagge che, fortunatamente, attirano molti più turisti di questa spiaggia. Il risultato è che anche in alta stagione la spiaggia è molto vivibile.
La sabbia è dorata e fine, il mare poco degradante e qualche scoglio sommerso per fare snorkeling; spiaggia tranquilla, niente di più.


9° posto:

Porto Giunco, Villasimius (13).
Una delle località balneari più rinomate di tutta la Sardegna e l’affollamento che si incontra lo testimonia a pieno. Il motivo è semplice: sabbia bianca e finissima, soffice da non sembrare vera. Mare cristallino dai classici colori “caraibici” che degrada molto lentamente verso l’acqua alta. Le colline che circondano la spiaggia sono ricoperte di arbusti e dalle forme spigolose, mentre alle spalle della spiaggia c’è una laguna, habitat dei fenicotteri rosa.
Sarebbe una spiaggia splendida se non fosse per tutta la folla che si incontra; per la prima volta abbiamo incontrato più turisti che sardi (soprattutto del nord Italia).
Nella spiaggia libera tra uno stabilimento e l’altro la situazione migliora, con spazi sufficienti anche per il distanziamento sociale.
Siamo fuggiti dopo poche ore.


8° posto:

Piscinas, Arbus (1).
A Piscinas è di scena LA NATURA! Faticoso arrivare qui su statali sinuose come serpenti, tra le montagne metallifere della Sardegna, ma la Natura ripaga l’occhio in abbondanza. Superati i resti di archeologia industriale nel paesino di Ingurtosu, si scende rapidamente fino ad incontrare montagne di sabbia nascoste sotto sparuti arbusti. La strada sterrata da affrontare è veramente poca ed alla fine si scopre la spiaggia di Piscinas. Si potrebbe definire un paesaggio “lunare”, se sapessi che spiagge ha la Luna: di sicuro si tratta di un paesaggio surreale, selvaggio e stupendo. Sabbia dorata e soffice, mare che velocemente arriva a essere profondo, ma di un colore così intenso da rimanere impresso.
Le uniche strutture sulla spiaggia sono l’hotel, installato su un vecchio edificio che faceva parte della miniera, e due bar. poi distese di sabbia e dune dorate. Spiaggia che in alta stagione è mediamente affollata, ma con tutto lo spazio che c’è…

7° posto:

Cala Sinzias, Castiadas (12).
Cala Sinzias si trova poco più a nord di Villasimius e per questo ne risente, sebbene in forma lievemente minore, di tutti i pregi e difetti. Affollamento soprattutto di turisti dell’Italia settentrionale che alloggiano nei numerosi villaggi che circondano la zona.
Spiaggia bellissima con sabbia dorata in cui non è difficile trovare posto neanche in alta stagione.


6° posto:

Porto Tramatzu, Teulada (6).
La spiaggia di Porto Tramatzu è stata un ripiego visto che la “vicina” spiaggia di Tuerredda (per la seconda volta) aveva raggiunto il limite di capienza.
Piacevole ripiego, comunque. Piccola caletta subito dietro al porto di Teulada, sabbia bianco-dorata ed atmosfera rilassata. Mare che scende molto lentamente e che, fino all'isola che ha di fronte (isola rossa) non supera mai i 5 metri di profondità.
Spiaggia che in agosto è comunque affollata, ma lascia spazio sufficiente per vivere il mare ai tempi del virus.

5° posto:

Sa Colonia. Chia (8).
Sabbia soffice e dorata a pochi chilometri da Cagliari. La gente che arriva qui è per la maggior parte sarda e trova un po’ di refrigerio vicino al capoluogo. Comunque abbastanza affollata, senza essere caotica.
Le numerose spiagge della zona sono una perla dietro l’altra.


4° posto:

Murtas, Villaputzu (9).
Altra spiaggia aperta per soli 2 mesi all'anno e dalla quale si accede entrando in una zona militare. La spiaggia è lunghissima e molto poco affollata anche in agosto. Sabbia e ghiaia fine di colore bianco, mare splendido!
Ci si arriva facilmente percorrendo un breve tratto di strada non asfaltata, il parcheggio è molto vicino alla spiaggia.
Tranquilla durante tutto l’arco della giornata e completamente priva di stabilimenti balneari, ci arriva poca gente e il perché mi sfugge. Ma è una grossa fortuna.


3° posto:

Su Giudeu, Domus de Maria (7). 
Una delle spiagge più belle della zona ed anche una delle più frequentate. Lo spazio è tanto, quindi anche il distanziamento è garantito. Sabbia morbidissima e mare cristallino; diversi stabilimenti abbastanza distanti tra loro.
Dai parcheggi (5€ al giorno) per arrivare in spiaggia c’è da camminare un po’, ma ne vale la pena.
P.S. Non fermatevi al primo parcheggio (ce ne sono almeno 3 tutti attaccati), il successivo ha alberi più grandi e quindi più ombra allo stesso prezzo.


2° posto:

Porto S’Ilixi e Cala Sa Figu, Murvera (10).
Tra il litorale di Murvera e Costa Rei, scendendo verso sud, c’è il promontorio granitico di Capo Ferrato. Le insenature e le spiagge che costituiscono questo territorio sono poco conosciute e quindi ideali per un po’ di relax a fine vacanza.
La sabbia è molto più scura che nelle altre spiagge nelle vicinanze, vista la natura granitica del promontorio, e l’acqua comunque molto limpida.
Non è facile arrivarci perché dopo un tratto di strada non asfaltata bisogna inventarsi un parcheggio in un’area abbastanza dissestata. Le poche centinaia di metri per raggiungere il mare sono rese scivolose dai canyon scavati dall'acqua piovana, ma la fatica è comunque ripagata.
Porto S’Ilixi è la più piccola delle due spiagge e, probabilmente attratti dal nome esotico, i primi bagnanti che arrivano si piazzano qui. Cala Sa Figu è molto più grande e probabilmente meno riparata dal vento, ma concede spazi enormi anche in alta stagione.
Sabbia scura che varia da molto fine a ghiaiosa, fondale che arriva velocemente ad una profondità di 4 o 5 metri, ma che poi diventa pianeggiante su tutta l’insenatura. Gli scogli che circondano la spiaggia sono ideali per lo snorkeling.


1° posto:

Is Arenas Biancas, Teulada (5). 
LA SPIAGGIA. Un po’ faticoso arrivarci, ma vi assicuro che ogni sforzo viene degnamente ripagato. Is Arenas è aperta solo nei mesi di luglio e agosto perché si trova all'interno di un’area militare. Da quando si lascia la strada asfaltata (dove si paga il parcheggio) bisogna percorrere 6 km di strada sterrata, ma in buone condizioni; l’ultimo tratto da fare a piedi è di poche centinaia di metri, ma ne vale veramente la pena! La spiaggia è una distesa di sabbia bianca lunghissima e macchia mediterranea a dare un tocco di selvaggio. Mare poco degradante ed acqua cristallina. Silenzio, per quanto possibile, a farla da padrone. Sulla spiaggia ci sono pochi stabilimenti e a distanza siderale tra di loro, se vi va un caffè preparatevi a camminare! Distanziamento sociale più che certo anche in alta stagione.
Un consiglio: per raggiungerla non seguite le indicazioni di google maps; l’ingresso si trova sulla SS195 poco fuori Sant'Anna Arresi, in direzione Teulada. Il cartello appeso sulla recinzione del campo militare è grande, non vi potete sbagliare.

costa sud-occidentale

costa sud-orientale












domenica 27 settembre 2020

Città e paesi del sud Sardegna

Il capitolo sulle città sarà relativamente breve. Non ci sono siti “moderni” che catturano particolarmente l’attenzione. La sensazione è che la miriade di civiltà che hanno occupato la Sardegna si siano impegnate a prendere ciò di cui avevano bisogno e a lasciare ben poco a testimonianza del loro passaggio. La stessa dominazione romana, che si espanse ben oltre i confini attuali d’Europa, non si impegnò nella conquista dell’interno dell’isola. Probabilmente troppo impervia e poco utile come terreno di coltivazione. 


Tutte le civiltà che provarono a dominare la Sardegna si trovarono di fronte la fierezza del popolo sardo che, senza abbandonare le tradizioni ancestrali, ha continuato a sopravvivere nel cuore dell’isola. 


Cagliari


Cagliari è uno dei porti più importanti del Mediterraneo e il fitto rimaneggiamento che ha avuto nel corso dei secoli le hanno lasciato una vaga atmosfera di indefinito. 

La zona del castello, costruita dai pisani, è il centro storico vero e proprio della città dove le antiche mura difendono ancora il capoluogo dagli sguardi indiscreti di chi si avvicina dal mare. 

Il quartiere sopraelevato aveva in passato orari prestabiliti in cui c’era libero accesso, finita l’utilità del lavoro i sardi dovevano uscire dalle mura e lasciare la cittadella ad uso esclusivo dei conquistatori di turno (pisani o genovesi). 



I viali che si affacciano sul porto sono il salotto della città; dall'ombra dei numerosi locali sotto i portici, i giovani cagliaritani controllano che nessuno arrivi dal mare a spezzare un equilibrio tanto agognato. 

Quello che mi ha sorpreso di Cagliari sono state le scritte e i disegni che compaiono sui muri, anche nella parte più antica. Spesso, però, sono costituite da simpatiche grida di denuncia!



Oristano è un paese in cui il passato è svanito insieme all'utilità che aveva l’ossidiana nel mondo antico. Non appena i metalli hanno soppiantato le pietre, il declino è stato lento e inesorabile per entrambe. 


Probabilmente costruita nell'entroterra per cercare rifugio dai continui assalti dei pirati saraceni, oggi in centro trova spazio ben poco dell’antico fasto. 

Il museo archeologico merita una visita soprattutto per la collezione di bronzetti nuragici (alcuni originali, altri copie messe in vendita a scopo di lucro agli inizi del ‘900), queste statue votive rappresentano spesso la documentazione più completa giunta fino a noi riguardo usi e costumi di questa civiltà scomparsa. I bronzetti venivano fusi e donati alle divinità come dono per chiedere qualche favore o come ringraziamento per qualche grazia ricevuta. Sorprende vedere quanto poco sia cambiato in 5.000 anni di storia.



Carbonia è stata la nostra base per la visita del Sulcis-Iglesiente. Eravamo curiosi di scoprire una città nata meno di 100 anni fa come “ricovero” per tutte le povere anime impegnate nelle nuove miniere presenti in zona. In base a scelte discutibili del regime fascista, alcuni stati europei ci vietarono l’acquisto delle materie prime come il carbone, senza il quale, in quel periodo storico, non avremmo avuto energia. Le miniere di carbone sarde erano già note da secoli, ma la qualità era talmente bassa e i costi di estrazione talmente alti, che da tempo erano state abbandonate. Si sa, però, che in periodi di crisi tutto viene utile, compreso il carbone (lignite) sardo. 

Così nel 1936 o giù di lì, qui in Sardegna nacquero Carbonia e Mussolinia, a cui, dopo la caduta del regime fascista, venne cambiato il nome in Arborea. 

Piazza Roma era il fulcro della nuova città e, immagino, di tutte le altre città fasciste. La piazza è ancora ben conservata e su questa prendono posto il palazzo comunale, la torre littoria (ormai adibita a spazio per uffici del comune), il teatro Centrale, la chiesa principale intitolata a San Ponziano e il campanile.
Proprio il campanile ha una storia curiosa da raccontarci: venne costruito ad immagine e somiglianza (forse solo un po’ più basso) del campanile di Aquileia poiché durante la prima guerra mondiale i valorosissimi soldati sardi, impegnati a difendere il confine italiano sul Piave, lo vedevano come un miraggio da voler raggiungere a tutti i costi, ai danni del nemico austriaco. Il problema è che dalla riva del Piave, dove la brigata era accampata, il campanile non si vede.
La storia raccontata sulla targa alla base del campanile, costruito in rossa trachite sarda, è una favola propagandistica in puro stile fascista.

La zona a sud di piazza Roma era adibita al settore dirigenziale delle miniere, vi trovano posto villette costruite in serie in cui l’architettura di primo ‘900 la fa da padrone. Proprio nella casa un tempo abitata dal direttore della miniera trova posto l’interessante Museo archeologico di Carbonia (di cui ho già parlato). 
Nella zona in cui avevamo il nostro alloggio, a sud ovest rispetto a piazza Roma, tra la città e gli impianti sportivi di via Balilla, c’erano i casermoni in cui alloggiavano gli operai con le loro famiglie. Si tratta di sei edifici identici, alcuni riutilizzati a scuole ed uffici, in cui trovavano posto almeno 30 famiglie ciascuno.

Le origini del moderno centro abitato di Carbonia e l’architettura, che ancora è ben visibile, ne fanno un paese interessante da vedere. Nonostante tutto quello che si può pensare del periodo da cui Carbonia proviene, anche qui si respira la Storia del nostro paese. 
Dal punto di vista strettamente umano, la cittadina era poco “infestata” dai turisti e una serie di piccoli locali e ristoranti ci ha reso il soggiorno veramente molto piacevole.


Calasetta, all'estremità settentrionale dell’isola di Sant'Antioco, ha una particolarità che condivide con Carloforte, sulla vicina isola di San Pietro. 
Questi due paesi, al pari di Carbonia, hanno origini relativamente recenti e vivono in un’atmosfera estranea alla Sardegna.

Nel 1549alcuni pescatori di corallo si trasferirono da Genova in Tunisia, sulla piccola isola di Tabarka, per due secoli fecero affari con il commercio del corallo, ma quando la situazione politica in Tunisia mutò, furono costretti a fuggire. 
Per il popolo dei “tabarchini” il rientro in Liguria era ormai impossibile, sebbene avessero mantenuto lingua e tradizioni di origine. Trovarono asilo a Sant'Antioco e San Pietro dove l’allora Re delle due Sicilie diede loro ospitalità; nacquero così Calasetta e Carloforte dove tuttora le case, il cibo e la lingua conservano spiccati caratteri genovesi.

Non abbiamo passato tanto tempo a Calasetta per capire quanto di genovese fosse rimasto nella loro lingua, ricorderemo per sempre questo paese per un dettaglio: gli spaghetti con arselle (vongole veraci) più buoni che abbiamo mai mangiato in vita nostra.



Iglesias, com'è facile intuire, deve il suo nome alla dominazione spagnola. Significa “Chiese” ed è un nome che, all'epoca, doveva calzargli a pennello. In effetti, prima dell’arrivo degli spagnoli, questo paese era chiamato “città delle Chiese”.

 


Quello che colpisce di Iglesias è l’impronta spagnola tutt'ora visibile nel piccolo e bellissimo centro storico. Vie strette con alti palazzi, balconi in ferro ad ogni finestra, leggermente sporgenti sulla strada. Facciate dei palazzi dai colori accesi e chiese di un’esuberante decorazione barocca, almeno all'esterno. E poi il nome: “Iglesias”. Più Spagna di così! 




Muravera, sulla costa orientale della Sardegna, è stata la nostra base per scoprire il Sarrabus-Gerrei. Il paese non ha nulla di eclatante se non qualche casa costruita nel ‘700 che ancora domina fiera i vicoli del paese. Ma Muravera è la patria degli agrumi sardi e, per pura fortuna, ci siamo trovati ad alloggiare nella pace di un agrumeto: “Alla giusta distanza dal traffico ed i rumori del centro”, come ci ha detto una splendida padrona di casa. 

Muravera è un’ottima base di partenza alla scoperta del mare sardo per buona parte, in questa zona, ancora poco sfruttato. 

E proprio il mare sarà l’oggetto del prossimo capitolo. La progressione che darò sarà dalla spiaggia più deludente a quella che ci è piaciuta di più. Intendiamoci: stiamo parlando di calibri enormi! 

Improbabili saluti, proprio qui che la Spagna ha regnato per secoli!

mercoledì 9 settembre 2020

La strana Storia della Sardegna...



Sulcis e Iglesiente, Sarrabus e Gerrei… anche i nomi di questa terra sembrano provenire da un altro mondo. E, in effetti, la Sardegna è un mondo a parte, lontano dal continente e quasi autosufficiente.
La storia della Sardegna si perde indietro nei millenni, una nebbia la nasconde. O forse no?! Fatto sta che la testimonianza unica dei Nuraghe è un vessillo che i Sardi sbandierano un po’ ovunque. Testimonianza di antenati operosi e originali rispetto a quanto l’età del bronzo e del ferro hanno lasciato nel resto del Mediterraneo.


Per questo viaggio io e la mia famiglia avevamo un programma di massima, cose che avremmo voluto vedere e spiagge sulle quali ci saremmo voluti svegliare. Ma spesso i programmi sono fatti per essere disattesi; quando le attese sono soddisfatte, ci si può comunque ritenere contenti.

Il viaggio tra le rovine della civiltà nuragica è senz'altro affascinante, non fate però l’errore di arrivare impreparati o tutto vi sembrerà un accumulo di macerie e, se la guida non è “quella giusta”, rischiate di perdervi una parte interessante di quella Storia che non viene studiata a scuola (se non qui sull'isola).

I Nuraghe, dicevamo: questa particolare struttura in pietra è quanto di più caratteristico riuscirete a trovare in Sardegna, molto più del mirto, del pecorino sardo e del maialino.

In tutta l’isola sono stati censiti oltre 7.000 siti archeologici, di cui 5.000 sono nuraghe; di questi 5.000, sono alcune decine sono stati scavati e sono visitabili, gli altri sono attualmente allo stato di rovine o quasi completamente ricoperti da terra e vegetazione.

Com'è sempre accaduto nel procedere della Storia, i resti di antiche civiltà, le strutture preesistenti, sono state riutilizzate, riadattate o smembrate dalle civiltà che le sono succedute. Questo è successo anche in Sardegna e la maggior parte dei nuraghe è stata utilizzata come materiale da costruzione per i nuovi edifici.



I nuraghe ancora in piedi e visitabili sono spesso all'interno di parchi archeologici e, se avete voglia di farvi un’idea di “cosa sono”, non vi resta che andare a cercare i più famosi. Dopo, ma solo dopo, potete avventurarvi alla scoperta degli altri nuraghe, quelli che dominano le campagne, le alture o le spiagge, dove non c’è nessuna guida a raccontarvi la storia di quelle arcaiche torri di pietra.

Nuraghe ricostruito
Si, perché la prima funzione dei nuraghe era il presidio del territorio, avevano la stessa funzione che i castelli avevano nel Medioevo.
Proprio come i castelli fungevano da fortificazioni, da manieri, da granai e da luogo di potere di comunità che dal medio e tardo bronzo si affacciavano alla Storia più recente.

Il sito del nuraghe e del villaggio di Barumini è il più conosciuto ed il più visitato. Da diversi anni è stato inserito nella lista dei patrimoni mondiali ed è una visita che senz'altro va fatta, soprattutto per la spettacolarità della struttura e per la bellezza del paesaggio che la circonda. In effetti collina marnosa di forma conica di Las Plassas ne costituisce un particolare importante del paesaggio circostante.



La visita al sito, non appena vi si riesce ad accedere, è senz'altro interessante, ma l’affollamento di turisti in alta stagione vi permetterà di ascoltare la guida e di seguire attentamente le sue ferree direttive (siamo pur sempre assediati da un virus potenzialmente pericoloso).


Altra cosa se si parla di siti “minori”: può capitare che la visita al nuraghe di Villanovaforru, anche in alta stagione, possa essere fatta da soli con la guida. Guida esperta di quanto ci stava presentando, ma anche persona piacevole con cui scambiare impressioni sulla storia nuragica, sulla Sardegna e sul patrimonio peculiare dell’isola.

Quello che resta del nuraghe di Villanovaforru è ben poca cosa rispetto a Barumini, sebbene presenti, come il fratello più famoso, una struttura “complessa”, ossia il nucleo centrale è formato da una torre principale e da tre torri minori collegate da mura possenti. I nuraghe “complessi” erano solo quelli più importanti che, probabilmente, si ponevano alla guida di una certa regione strategica. Qui a Villanovaforru l’altura su cui è stato costruito il nuraghe permette il controllo della zona che va da Oristano a Cagliari: la regione denominata Medio Campidano. Nella preistoria, la presenza di un vulcano estinto, aveva permesso un fiorente commercio di ossidiana, una pietra lavica scura che costituiva l’unico utensile dell’epoca. In base alle dimensioni della pietra era possibile ricavarne asce, coltelli e punte di freccia. Per capire quanto era fiorente il commercio di questa pietra basta pensare che l’ossidiana oristanese è stata ritrovata in Spagna, nord Africa e Medioriente!




Altra particolarità del sito nuragico di Villanovaforru è che non è stato abbandonato progressivamente, come per la stragrande maggioranza dei siti che si conoscono, ma venne abbandonato subito dopo un incendio che lo distrusse completamente. La sfortuna abbattutasi su un paese ha fatto la fortuna dei visitatori odierni: all'interno della casa più grande del villaggio, infatti, sono stati ritrovati un numero enorme di suppellettili ed oggetti quotidiani che hanno permesso agli archeologi di fare molta chiarezza sugli usi e costumi di una civiltà che, non usando la scrittura, ci era praticamente semi-sconosciuta.

E’ possibile osservare la maggior parte del vasellame e dei reperti ritrovati nel museo archeologico di Villanovaforru, a meno di un chilometro di distanza dal nuraghe.

Durante la visita al sito abbiamo saputo in anteprima che gli archeologi, che stanno ancora lavorando agli scavi del villaggio nuragico, hanno identificato dei resti di uva in un edificio probabilmente adibito alla produzione del vino. La notizia è uscita il 15 agosto sul quotidiano ufficiale della regione, ben quattro giorni dopo la nostra visita!



Altro sito archeologico che vale la pena visitare è quello di Santa Cristina a Paulilatino (pochi chilometri a nordest di Oristano). Nel sito si può visitare, oltre al nuraghe “semplice” (ad una sola torre), un vero e proprio luogo sacro che, anche nel corso delle varie civiltà che si sono succedute, non ha mai perso la sua sacralità.

Vista aerea della Fonte Sacra

Il sito archeologico è famoso per il “Pozzo sacro” di Santa Cristina (il nome è stato attribuito in base alla chiesa che, nei secoli successivi, è stata costruita nelle vicinanze): si tratta di uno dei pochi esempi perfettamente conservati di un tempio adibito al culto dell’acqua, elemento sacro per molte culture, compresa quella nuragica. Di solito questi templi venivano costruiti in prossimità di sorgenti d’acqua, queste sorgenti venivano protette con dei veri e propri templi, spesso scavati sotto il livello del suolo e ai quali potevano accedere solo i sacerdoti preposti.



Non è una novità che le popolazioni antiche venerassero l’acqua, da sempre fonte di vita e risorsa primaria per l’instaurarsi di una civiltà in un determinato luogo.

Nello stesso sito, come ho anticipato, è possibile visitare un nuraghe ad una sola torre, per questo definito “semplice”. Il sughereto che lo nasconde, se avete la fortuna di fare la visita in solitaria, rende il posto estremamente “intimo”. E’ consentito l’accesso al nuraghe e alla sua camera principale con soffitto definito “a tholos” o a “falsa volta”. Si tratta di una copertura ad anelli concentrici di pietre che tendono a restringersi fino alla sommità, dove la volta è chiusa da un’unica pietra.

Tra le spesse mura perimetrali è ricavata la scala che portava alla terrazza sommitale o al piano superiore, ormai scomparso.

Nella zona più prossima alla biglietteria è possibile vedere il piccolo “borgo” medievale con, al centro, la chiesa di Santa Cristina (da cui il sito prende il nome. Le piccole case laterali erano adibite all'alloggio dei frati).



Sulla strada tra Nuoro e Oristano è interessante fare una piccola deviazione a Mamoiada. Qui, nel 1997, venne ritrovata del tutto casualmente una stele conosciuta come “Sa perda pintà”: la pietra dipinta.
Si tratta di una lastra incisa (non è né un menhir, ne una stele) in cui spiccano diverse figure a cerchi concentrici scolpiti con un un’incisione rettilinea che interseca i cerchi, terminando in un’appendice arcuata.
L’interpretazione più attendibile collega la “stele” ai riti dell’acqua, fonte di vita e che sgorga copiosa in queste zone. L’incisione è una perfetta rappresentazione delle onde concentriche che si formano sulla superficie dell’acqua quando viene toccata con la punta di un bastone.



Tra i nuraghe “liberi” che ho incontrato sul mio cammino, di sicuro il più bello, per stato di conservazione (probabilmente restaurato) e per posizione è stato quello di Nuraghe Asoru o Basoru.
Percorrendo la statale in cerca di spiagge il panorama di campi coltivati, colline di arbusti, qualche isolata abitazione e la visione di questa torre nuragica imponente, rende facile scivolare indietro di secoli fino ad immaginarsi catapultati nella preistoria sarda.
Il nuraghe sorge attaccato ad una via di comunicazione, ma non ci sono recinti da scavalcare, bisogna solo arrampicarsi sulle pietre che costituivano la base (probabilmente di rinforzo alla torre principale) e godersi la storia in solitaria.



Benché Carbonia fu fondata solo nel 1936 dall'autoritario governo di allora (di cui parlerò in un altro capitolo), nella zona intorno alla città si sta riscoprendo un sito archeologico che ne sposta indietro la “nascita” di circa 3.000 anni.
Il sito archeologico di Monte Sirai è un luogo davvero unico e, con millenni di anticipo, ci parla di integrazione tra popoli diversi e lontanissimi tra di loro (soprattutto per quell'epoca).

Come fare per scoprirne la storia? La visita al museo archeologico di Carbonia (condotta con la fortuna di una guida personale) permette di svelare i segreti del sito. Gli archeologi raccontano di un nuraghe, sempre presente in villaggi di questo periodo storico, Nuraghe quasi completamente distrutto. Ma raccontano anche di case dove abitavano cittadini autoctoni e case in perfetto stile Fenicio, dove la popolazione Mediorientale viveva e costituiva una testa di ponte commerciale con il popolo di origine. Dal sito ufficiale si legge:
"Testimonia il risultato dell’integrazione di una comunità sardo-fenicia, come mostra l’architettura mista delle costruzioni e le ceramiche d’uso ibride."
Gli archeologi raccontano anche di case adibite ad officine dedicate a lavorazioni esclusive come ceramica e pelli che, probabilmente, venivano esportate fino in Libano grazie agli scambi commerciali che l’antico “gemellaggio” aveva sancito. Stiamo parlando di civiltà dell’era del Bronzo o giù di lì, che avevano trovato il modo di vivere pacificamente ed integrarsi sulle coste della Sardegna.


Altro sito archeologico di rilievo nel sud della Sardegna è quello di Nora, la più antica città della Sardegna. Venne fondata dai Fenici nel IX secolo a.C., l'area archeologica si trova pochi chilometri a sud di Cagliari, circondata dal mare e dalla macchia mediterranea.
La posizione strategica per i commerci marini fece sì che Nora venne abbandonata solo nel medioevo, la successione delle civiltà che la abitarono hanno lasciato un mosaico di edifici che tutt'ora riconoscibili. Il tempio cartaginese, il teatro e le terme romane, le fondamenta della basilica bizantina.
 La maggior parte dei reperti ritrovati a Nora è esposta al museo archeologico di Cagliari; tra questi una stele alla quale viene attribuita la più antica attestazione del nome Sardegna. Nella seconda riga, da destra verso sinistra, si legge "NDRS": ShRDN = Sardegna.





L’ultimo sito archeologico che vi voglio proporre è il parco archeologico di Pranu Mutteddu a Goni: un sito che ci parla del culto dei morti, molto sviluppato nella civiltà nuragica.

La zona del parco in cui è necessario pagare il biglietto permette la visita di tombe a forma di cerchi concentrici, lunghe file di menhir e steli enormi infisse nel terreno. Un sito megalitico in cui l’energia della terra e la sacralità della morte sono tuttora tangibili: il sito impone ancora una sacralità che il tempo ha solo sopito e per la visita viene quasi naturale rispettare il silenzio che il luogo sembra imporre.

Nella fase più antica di questa civiltà, i siti sepolcrali erano vere e proprie camere scavate nella roccia, dove il defunto, messo in posizione fetale e cosparso di una pasta color ocra, veniva “ricondotto” nel ventre della terra per rinascere ad una nuova vita.
Questo tipo di sepoltura è oggi famoso come Casa delle Fate (Domus de Janas); sepolture che, nel corso dei secoli, sono state spesso riutilizzate fino al Medioevo.

Nel sito di Pranu Muteteddu se ne possono vedere diverse semplicemente addentrandosi nel parco, in una zona dove la visita è soggetta solo all’attraversamento di un cancello.
La distanza delle domus de Janas da tutto il resto e il silenzio imperante nella zona mi hanno fatto perdere il senso del tempo, tanto che, una volta scattato l’allarme, stavano per arrivare i soccorsi!

lunedì 25 maggio 2020

La Sicilia arabo-normanna


Dopo che il World Heritage Committee ha inserito “Palermo arabo-normanna" nella lista dei patrimoni UNESCO, con il doppio aggettivo ha sancito la “pace" tra due civiltà che si sono succedute e che sono state indelebilmente collegate tra di loro. Ne ha stabilito una continuità naturale nonostante la loro ideologica contrapposizione: il debito di una cultura verso quella che l'ha preceduta. 

Nel patrimonio da salvaguardare sono state inserite anche le cattedrali di Cefalù e di Monreale, anche se costruite ad oltre 100 anni dalla riconquista normanna sugli arabi. Questo perché hanno ancora una netta impronta artistica araba che nei secoli precedenti era stata tanto determinante nell'isola. Basti pensare al modello di organizzazione amministrativa, alle tecniche agricole, ai canoni urbanistico-architettonici, alla letteratura e alla lingua parlata, rimasta viva nel regno un secolo dopo la riconquista.


Di seguito riporto le immagini e un po' di storia dei luoghi che abbiamo visitato, non seguendo l'ordine cronologico con cui sono stati costruiti, ma quello con cui li abbiamo visitati.
Si tratta di tappe "classiche" in un tour della Sicilia e anche noi non potevamo ignorarle.


CEFALÙ e il duomo.



Il duomo, con le sue imponenti torri, spicca sul panorama cittadino da ogni angolazione. Fu costruito per volere di Ruggero II che ne voleva fare il Pantheon di famiglia.  L'influenza araba si nota nel soffitto a travi in legno dipinto. L'abside è decorata con mosaici a sfondo dorato dove il  Cristo Pantocratore benedicente, fulcro degli elaborati mosaici bizantini, è circondato dalla Vergine, dagli angeli, dagli apostoli, Santi e profeti. Le colonne che separano le tre navate provengono, probabilmente, dal tempio di Diana, costruito sulla rocca che sovrasta il paese.


Il bellissimo centro medievale di Cefalù, oltre al duomo, offre altri spunti per una visita più approfondita. Oltre alla bellissima spiaggia sabbiosa e il lavatoio medievale, costruito su una sorgente ed utilizzato per secoli, c'è il museo Mandralisca. Collezione privata che trova posto negli ambienti domestici dell' omonkmo conte. Tra il vasellame greco e arabo spicca lo splendido “Ritratto d'uomo" di Antonello da Messina, dipinto nel 1465. Uno dei ritratti più rappresentativi del Rinascimento italiano.


Il duomo di MONREALE.

Arroccato sulla conca d'oro, sulle colline che circondano Palermo, il duomo di Monreale è giudicato dagli storici “una delle creazioni più eccelse del medioevo". Venne fatto costruire da Guglielmo II nel 1174 per superare in grandezza suo nonno Ruggero II, a cui si devono il duomo di Cefalù e la cappella Palatina di Palermo. 


L'impianto romanico, gli stilemi bizantini dei mosaici dorati, la fantasia floreale e l'esotismo dell'arte islamica, evidenti soprattutto nel chiostro, sono i tre elementi che concorrono all'unicum di questo splendido duomo. 


Degli splendidi mosaici, che sorprendono per la vivacità dei colori, spicca l'immancabile Cristo Pantocratore, ma colpiscono in particolare le scene dell'antico testamento: l'arca di Noè in balia delle onde,  Cristo che guarisce un lebbroso, Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso… 

Il chiostro adiacente è l'omaggio di Guglielmo II all'arte islamica, per la quale provava una profonda passione. Le eleganti arcate a sesto acuto, sostenute da snelle colonne sono un trionfo di architettura orientale.


PALERMO arabo-normanna.
La cattedrale


Tomba di Federico II
A Palermo ci sono diversi edifici che vantano l'iscrizione al patrimonio UNESCO per cui abbiamo dedicato qualche giorno da spendere per le vie della città.
Nonostante i numerosi rimaneggiamenti, la cattedrale di Palermo rappresenta l'espressione più straordinaria dello stile arabo-normanno che caratterizza il patrimonio architettonico siciliano. La costruzione iniziò nel 1184 nel luogo dove sorgeva una moschea. Dopo la prima laboriosa fase di costruzione vennero fatti lavori nei secoli successivi che non sempre migliorarono l'edificio: la facciata sud-orientale venne aggiunta tra il XIII e il XIV secolo, l'elegante portale in stile catalano venne aggiunto nel 1400 e la sgraziata cupola nel 1780.
L'interno, in stile precocemente neoclassico, ospita le tombe Reali normanne: Ruggero II e Federico II oltre a Enrico IV e Guglielmo II i cui sarcofagi sono "semplici" monumenti in porfido rosso.

Il palazzo dei Normanni e la cappella Palatina. 
Il palazzo dei Normanni venne costruito nel IX secolo, all'esterno conserva ancora tratti dell'architettura arabo-normanna. Venne ampiamente rimaneggiato nel corso dei secoli ed è recentemente diventato patrimonio mondiale dell'umanità. Il palazzo rappresenta la più antica reggia d'Europa, da sempre sede del potere palermitano. Il suo nome è dovuto al rifacimento più importante che subì per volere di Ruggero II nel 1130.

In questo periodo al palazzo venne aggiunta la cappella Palatina, destinata a diventare la principale attrazione di Palermo. Le pareti sono completamente rivestite da mosaici dorati che raffigurano scene della Bibbia. Al centro della cupola spicca l'immagine di Cristo Pantocratore con frasi dal libro di Isaia scritte in alfabeto greco. Il soffitto a cassettoni con decorazioni arabe sorprende per la raffinatezza e la complessità. La mescolanza di stili rappresenta simbolicamente il desiderio di una politica culturale e religiosa di integrazione e di tolleranza. Questa “linea politica" venne abbracciata pienamente sotto il regno di Federico II.
Il giovane sovrano preferiva la diplomazia alla violenza, e riuscì nell'impresa di trasformare una crociata in un incruento patto con il sultano per il controllo della Terrasanta. La sua lungimirante tolleranza religiosa , nel sogno di una pace universale partendo dai buoni rapporti con il mondo islamico, erano guardati con sospetto, tanto da far circolare il soprannome di “sultano battezzato".


San Cataldo e la Martorana.
Nella centralissima Palermo, stretta tra Ballarò e la Vucciria, c'è il magnifico complesso di San Cataldo e la Martorana, due chiese appiccicate una all'altra affacciate su piazza Bellini.
La costruzione è avvenuta in periodi diversi e questo si vede con un colpo d'occhio dall'esterno, ma la mescolanza di stili è affascinante.





San Cataldo, con la serie di cupole rosse e la solida forma squadrata, denuncia immediatamente una matrice arabo-normanna. L'interno, sebbene austero, è molto affascinante sebbene le decorazioni, oltre al pavimento intarsiato, sono essenzialmente in pietra. La costruzione iniziò nel 1150, ma rimase incompleta a causa della morte del committente nel 1160, il condottiero Maione di Bari, grande ammiraglio di Guglelmo I.

La vicina chiesa della Martorana, al contrario, è un tripudio di mosaici e affreschi che l'estrema luminosità mettono in risalto. Venne commissionata come moschea nel XII secolo dall'ammiraglio di Ruggero II,  Giorgio di Antiochia. Nel 1433 la chiesa fu ceduta ad un monastero di suore benedettine fondato da Elisa Martorana (da qui il nome) che fecero rielaborare l'esterno in linea con lo stile barocco dell'epoca.




In un mosaico originale è raffigurato Ruggero II nell'atto di ricevere la corona di Cristo. Si tratta dell'unico ritratto del sovrano rimasto in Sicilia.


La Zisa.
"Un tempo la pianura che circonda Palermo era un tripudio di giardini, agrumeti, parchi. La mitica Conca d'Oro. Poi l'espandersi della città, la speculazione edilizia degli anni sessanta e settanta, alcuni discutibili restauri hanno cancellato molto del fascino di architetture le cui origini affondano tra il IX e il XIII secolo. Nonostante tutto esistono ancora tracce di quei luoghi dove si banchettava, amoreggiava e si sperimentavano nuove tecniche agronomiche."
Anche la Zisa (Al-Aziza significava La Splendida) era un giardino arabo costruito all'esterno della città, spesso in una posizione panoramica e circondato da mura. L'edificio in stile arabo è un capolavoro di architettura arabo-normanna. Testimonia l'ingegno raggiunto dagli architetti arabi nello studio della climatizzazione degli ambienti.


La  sala della Fontana, posta a piano terra, è costituita da una una fontana al centro della stanza e delle nicchie laterali decorate a forma di alveare. Le due torri ai lati della fontana, grazie allo scorrere dell'acqua, avevano la finzione di distribuire aria fresca e umida su tutti i piani del palazzo.
Un sistema di canalizzazione portava l'acqua nel giardino a creare giochi e rumori rilassanti, ad irrigare le piante da frutto degli immensi spazi alberati dell'enorme giardino.